Da Marrakech al Sahara, dall’Atlante alle onde dell’oceano che si infrangono sui bastioni a Essaouira: qualche spunto, di meraviglia, se vuoi fare un viaggio in Marocco (meglio ancora se a settembre)
Il Marocco è stato una scoperta continua. A partire dal fatto che andarci a settembre si è rivelata la scelta perfetta perché è ancora bassa stagione. Un viaggio durato due settimane – il tempo minimo indispensabile, sia se vuoi conoscere davvero un posto, sia se vuoi davvero staccare dal lavoro – una sorpresa che ci ha permesso di passeggiare sulle dune senza nessuno intorno, di visitare i labirinti delle Kasba riuscendo a sentire le ninnananne cantate dalle mamme oltre i muri di terra battuta, di dormire sotto le stelle nel deserto in un letto matrimoniale grandissimo, di imparare a tuffarci in una piscina naturale riempita di acqua di fonte e di fare colazione da soli in un giardino di melograni (nota per il futuro: un giardino di melograni fa bene all’anima).
Era la nostra seconda volta in Marocco. La prima fu a Tangeri, una sorta di gita di un giorno mentre in realtà visitavamo l’Andalusia. Allora, lo schock culturale causato da troppe persone, troppe richieste, in troppo poco spazio e in decisamente troppo poco tempo, mi aveva costretta a uscire dalla medina per cercare lo spazio sopraelevato e aperto della Kasba, allontanando le mani e le voci di chi voleva fermarmi perché io comprassi una volta una guida una volta un abito un’altra volta dell’hashish. Questa volta, invece, una delle attività che ho preferito durante il viaggio è stata proprio passeggiare per le vie di Marrakech, osservare le persone e anche ascoltare chi mi spiegava come si prepara una tajine all’uso sul fuoco della cucina o che il vero olio di argan non unge la pelle, sparisce subito, vedi? In questi anni ho allenato la mia capacità a cogliere la meraviglia – Virgina Woolf pensava che è questo, in fondo, il cuore del mestiere di chi scrive – e questa volta in Marocco ne ho trovata molta. Ecco qualche spunto (di meraviglia, of course!) se anche tu stai pensando di fare un viaggio in Marocco.
Ma prima com’è la situazione in Marocco dopo il terremoto
Eravamo lì quando è successo. A Essaouira, eravamo appena andati a dormire e la stanza, tutto, ha iniziato a tremare. Il padrone del luogo dove alloggiavamo – un italiano che nella sua vita precedente faceva l’avvocato a Milano – aveva negli occhi il terrore dello tsunami, a noi bastava quello della terra che trema. Per fortuna, nostra, l’epicentro è stato sull’Atlante, dove eravamo solo qualche giorno prima; per sfortuna, delle persone che vivevano in quei luoghi in case costruite con terra e pietra, ha colpito la popolazione più povera e i morti che si sarebbero annoverati nei giorni successivi sarebbero stati solo e soltanto loro. La situazione ci è sembrata ancora più chiara quando, tornati a Marrakech qualche giorno dopo, abbiamo fatto esperienza di cosa vuol dire essere ricchi in un Paese con fortissime disuguaglianze sociali. In sintesi: se stai bene economicamente, o sei un turista, la tua casa è fatta in muratura, hai un’auto dove sfollare e hai soldi per comprare da mangiare; se non lo sei, dormi su una coperta, sperando che il mulo che ti serve per andare a prendere l’acqua, così i tuoi figli e le tue figlie possono andare a scuola, ritorni e che potrai tornare a occuparti dei campi al più presto. Le scritte, realizzate con sassi bianchi sulle montagne dell’Altante, “Evviva Re Mohammed VI” e “Dio, Re, Patria”, ci hanno ricordato quando, nel 2008, in Perù mani – propagandistiche e altrettanto anonime – scrivevano sui muri diroccati “El Perù Avanza”. Anche qui, come lì e allora, solo una parte, e solo chi se lo può permettere. E per tutto il resto, le persone si salvano da sole. Noi, da turisti, ce lo siamo potuti permettere e siamo tornati a casa tranquillamente, dormendo nello stesso riad dove avevamo dormito all’inizio del viagio e tornando a casa con il nostro volo. Già qualche giorno dopo, il ministero del turismo ringraziava per la vicinanza e chiedeva ai turisti di tornare. Su questo, nulla da controbattere: già due giorni dopo le strutture erano a posto e il turismo vale sempre l’11% del PIL marocchino (fonte: Ansa, giugno 2023).
Partiamo dalle basi: che giro abbiamo fatto per il nostro viaggio in Marocco a settembre
Siamo partiti e tornati da Marrakech, cinque giorni per vederla sono davvero troppi, il Jardin Majorelle bello, ma non vale quindici euro di biglietto, e si finisce per accettare una delle escursioni che propongono tutte le agenzie della medina (Ourika per noi): con il senno di poi, meglio prendere un treno per Casablanca o Rabat o Agadir e fare due giorni lì. Da Marrakech, con un autista privato contattato attraverso un’agenzia italo-marocchina (questa), siamo scesi verso il deserto, fermandoci a visitare le Kasba di Telouet, Timnougalt, le più belle ed emozionanti, e Ait Ben Haddou, la più turistica, passando per l’Atlante, i palmeti di Agdz e l’Oasi di Fint. E, finalmente, il Sahara, a Erg Chigaga. Per riprenderci dopo questi tre giorni, ci siamo fermati un paio di notti in quello che è la nostra versione di agriturismo, vicino a Lalla Takerkoust. Infine, siamo andati sull’oceano a Sidi Kaouki, provando l’esperienza di viaggiare come i locali, tra autobus a lunga percorrenza e grand taxi super scassati. Essaouria con il suo mercato del pesce è da vedere, fermati lì a pranzo, un giorno è sufficiente. Per il prossimo viaggio – perché torneremo – ci siamo segnati il nord, la costa mediterranea e il deserto verso Figuig e l’Algeria.
In Marocco, il giardino è il vero cuore di ogni casa (e di ogni cosa) e sono tutti bellissimi
Il primo spunto di meraviglia è che Riad è il modo in cui a Marrakech oggi si chiamano i bed&breakfast, ma la parola in sè significa “paradiso”. Noi abbiamo alloggiato al Riad Moulay, consigliatoci da Alessandra e Antonio che ci hanno alloggiato qualche anno fa: piccolo, accogliente, proprio nel cuore della Medina, tenuto dalla proprietaria, Latifa, e da alcune aiutanti, tutte donne. Una piscinetta al centro di un colonnato decorato a mosaici, divani dai cuscini variopinti e una terrazza da cui ammirare la luna al suono della musica che proviene dalla vicinissima Jemaa El Fna, la piazza principale della Medina. Riad significa paradiso, perché è così che queste case, tranquille, fresche e piene di acqua, fiori e di frutta, dovevano sembrare ai mercanti che anticamente giungevano a Marakech dopo aver affrontato lunghe spedizioni nel deserto e sui monti dell’Atlante. Ovunque ci sia dell’acqua a disposizione, viene rivolta verso la terra, perché dia frutto. E perché non ne venga sprecata neanche una goccia, un complesso sistema di irrigazione sfrutta le pendenze del terreno e fa fiorire anche gli angoli più remoti di ogni giardino. Il gorgoglio dell’acqua e il canto degli uccellini tra le foglie degli alberi, divenanto così il sottofondo alle conversazioni sussurrate nella fresca ombra delle pagode, decorate secondo lo stile saadiana, con tetti in legno dipinto e mosaici di piastrelle sul pavimento.
Nel Sahara le dune sono velluto e la distinzione tra cammelli e dromedari non c’entra niente con il numero di gobbe
No, infatti, il dromedario è anch’esso un cammello, solo che vive solo in Africa. Il camello, invece, vive sia in Africa sia in Asia. Che verso fa il dromedario? Rutta, per lo più. Ma è un animale estremamente tranquillo e – è qui la vera sorpresa – incredibilmente elegante. Il dromedario non cammina, incede, sulla sabbia; il passo cadenzato dal peso distribuito sulle quattro, lunghissime, zampe. La cosa più spaventosa che gli ho visto fare è abbassarsi di botto per consentirmi di scendere dalla sua groppa. L’effetto è stato quello di quando togli i tacchi alti alla fine di una serata: all’improvviso ti stupisci di dover alzare lo sguardo verso l’alto per guardare qualsiasi cosa. Se poi, quel qualcosa che vedi sono le dune del sahara che sembrano fatte di velluto, bhe, quello è uno spettacolo che penso non dimenticherò mai.
Il tè è fatto di parole che non hanno bisogno di essere dette
Le persone che in Marocco hanno a che fare con i turisti parlano con disinvoltura quasi tutte le lingue europee: inglese, francese, spagnolo, italiano e tedesco. Ho sentito qualche guida lanciarsi anche con olandese e portoghese e fare una bella figura. Chi invece fa altro nella vita, e parla arabo o berbero, comunica a gesti, a sorrisi e con il tè. Me l’aspettavo, perché come mi ha raccontato la tea blender e sommlier Elena Maisola su Esquire, in molte altre culture tra cui quella marocchina il tè riveste un ruolo fondamentale nella socialità. Tra i tè che ho bevuto ricordo in particolare quelli che ci sono stati offerti come benvenuto, perché dimenticassimo le fatiche del viaggio e ci sentissimo a casa.
Il pepe è un albero (e io credo di avere un po’ di colonialismo interiorizzato)
Sì, hai letto bene, il pepe è un albero. Il frutto di un albero, veramente, sono bacche che vengono raccolte e fatte seccare. Dunque no, il pepe non nasce e cresce naturalmente dentro i barattolini di vetro in cui siamo abituati a vederlo.
Questa è la sorpresa di questo viaggio da cui sento di aver imparato di più. Il fatto che io non mi fossi mai posta il problema di come si presenti il pepe in natura, mi ha messo di fronte al mio privilegio, di donna europea, bianca, benestante, eterosessuale, una madame che visitava quei luoghi in compagnia del marito monsieur. Credo che se non hai bisogno di chiederti come nascono i frutti perché li trovi pronti, dica moltissimo del tipo di vita che fai. Certo, non serve viaggiare per sapere che il pepe è un albero o che quando un terremoto colpisce sono le persone povere a rimetterci per prime, per questo bastano Wikipedia e un po’ di buon senso. Ma come sintetizza bene il necrologio attivista di Michela Murgia su Internazionale ogni nostro agire è un agire politico, viaggiare compreso, e, allora, è giusto anche prendere consapevolezza di questi aspetti, tutti, e farne tesoro per guardare anche il nostro contesto e il nostro presente con occhi diversi. E, magari, poter pure essere utili in qualche modo.